Cena per la pace

“Sento che ho fame, e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba. Entro. Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile.

Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. – Mnié khocetsia iestj, – dico – datemi da mangiare. Una donna mi riempie il piatto di latte e miglio dalla zuppiera di tutti. Faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio.

Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. – Spaziba, – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta, – mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi.

Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarci, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano con me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini.”

Queste sono le parole di Rigoni Stern, trasportate da Paolini in un bellissimo spettacolo teatrale intitolato il sergente nella neve

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina questo spettacolo non fa che tornare alla mente.

Era un’epoca diversa è vero. Al tempo eravamo noi gli invasori. Vero anche questo. 

Si trattava però di guerra. Oggi come allora.

Sono giorni di tensione. Basta accendere la televisione o la radio e si viene sommersi da una sensazione di smarrimento e paura. Guerra. Vera. Dolorosissima. Sentire quello che sta succedendo è un pugno costante e ripetuto allo stomaco. 

E l’uomo quando soffre, quando è spaventato cosa fa? Si riunisce. Parla, si confronta.

È così abbiamo deciso di reagire per la pace e nient’altro. Fare qualcosa è il nostro modo per metabolizzare il conflitto. 

E così a Paolo Hutter viene l’idea di organizzare una cena per la pace, insieme a degli amici. Sono stati due giorni febbrili di chiamate, abbiamo incontrato ragazzi ucraini, russi e polacchi grazie al circolo polacco Polski pot. Pochi contatti che si sono illuminati, accesi all’idea di poter contribuire. Fare.

Un menù composto da piatti ucraini e russi cucinati da ragazzi e ragazze provenienti dai rispettivi paesi. Fianco a fianco, spalla a spalla a mangiare insieme. Parlare. Condividere. Per affrontare cosa sta succedendo. 

pace

La sala si è riempita al punto che abbiamo dovuto rifiutare prenotazioni. C’è stata una risposta inaspettata, quasi commovente. Siamo riusciti a raccogliere una buona quantità di denaro da inviare in terra ucraina come aiuto umanitario. 

E se il conflitto dovesse continuare ancora (speriamo vivamente di no) saremo pronti a proporre nuovamente questa cena. Un piccolo gesto, con un grande significato. Un grido di protesta verso la violenza.

Ora capisco perché le parole di Stern mi sono tornate in mente. La guerra è uno stato, è apparenza. Basta un frangente, uno solo e l’uomo manifesta la pace. Cucinare insieme unisce. Confrontarsi unisce. Il rispetto unisce. 

Daniele Passarella